Perché Immidem

Perché Immidem

Il progetto immidem nasce da un’osservazione clinica condivisa tra operatori sanitari di alcune realtà italiane ed europee: “sempre più persone con un background migratorio si rivolgono ai nostri ambulatori per affrontare un disturbo cognitivo”. Dati socio demografici raccolti nel nostro Paese e in altri paesi europei testimoniano infatti un progressivo invecchiamento non solo della popolazione nativa, ma anche di quelle persone nate in altri Paesi e migrate successivamente in Italia. Ma quali sono questi dati? Cosa ci dicono a livello nazionale, regionale e locale? Quali risposte e quali percorsi assistenziali mette in campo il nostro servizio sanitario a livello nazionale, regionale, territoriale per fronteggiare questo fenomeno? Con quali difficoltà? 
A partire da queste osservazioni e da questi interrogativi, immidem ha sviluppato la consapevolezza che, per produrre conoscenze ed elaborare risposte che siano utili per tutti i player in gioco – pazienti, familiari e caregiver, operatori sanitari, decisori e ricercatori -, è necessario un approccio culturalmente sensibile e consapevole. Servono linee di indirizzo e buone pratiche convalidate da dati ed esperienze. Sono fondamentali strumenti e percorsi pensati in maniera cross-culturale. L’obiettivo del progetto è quello di arricchire questo contesto attraverso una prospettiva di sanità pubblica e globale e una narrativa culturalmente competente e sensibile alle diversità.

Migranti e disturbi cognitivi

Sempre più spesso negli ambulatori e nei centri per la valutazione e il trattamento di disturbi cognitivi si presentano pazienti (e/o familiari e caregiver di pazienti) con una storia di migrazione.

Più in generale, la società contemporanea è e sarà sempre più formata da persone che, pur vivendo nello stesso paese, sono nate in paesi diversi e/o sono cresciute con background culturali differenti. Il quadro è quello di una società sempre più eterogenea e diversa sotto il profilo culturale. Come conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione mondiale poi, di questa società fanno e faranno sempre più parte persone adulte e anziane con disturbi cognitivi, i loro caregiver, la comunità che li assiste e i loro medici e operatori sanitari di riferimento.

Spesso, tuttavia, tra le persone migranti con una demenza o un disturbo cognitivo e gli operatori socio sanitari che potrebbero aiutarli, si erge una barriera linguistica e culturale. La diagnosi di tale condizione richiede l’esecuzione di test che sono spesso influenzati dal livello di alfabetizzazione e istruzione della persona, così come dal suo background culturale e sociale. La demenza assume, infatti, significati profondamente diversi nelle varie culture ed è ancora spesso oggetto di stigmatizzazione e discriminazione in alcuni contesti.

Migranti e minoranze etniche, anche per via di queste barriere culturali e linguistiche hanno più difficoltà ad accedere ai servizi sanitari sul territorio, meno probabilità di ricevere tempestivamente una diagnosi di demenza, un trattamento specifico e un adeguato supporto e assistenza. Eppure è fondamentale garantire a questi pazienti l’accessibilità alle risorse sociosanitarie disponibili per giungere ad un’adeguata, per quanto gravosa, assistenza delle persone colpite da questi disturbi. 

Migranti e minoranze etniche

Migrante è un termine che include, secondo la definizione dell’International Organization for Migration (IOM), “qualsiasi persona che si stia spostando o si è spostata attraverso un confine internazionale lontano dal suo luogo di residenza abituale, indipendentemente dallo stato giuridico, dalla causa del movimento o da quanto sia lungo il soggiorno”. Spesso le persone con una storia di migrazione sono anche appartenenti a minoranze etniche, definite come “qualsiasi gruppo che è numericamente inferiore al resto della popolazione di uno stato e si trova in una posizione non dominante; i cui membri possiedono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche differenti dal resto della popolazione e che seppur implicitamente mantengono un senso di solidarietà diretta a preservare la loro cultura, religione o lingua”.

Migranti e demenze: fenomeni in crescita

Il fenomeno delle migrazioni è una questione di rilevanza globale: nel 2019 sono stati stimati 272 milioni di migranti internazionali. In Italia risiedono, al 31 dicembre 2019, 5.039.637 cittadini stranieri che rappresentano l'8,4 per cento della popolazione residente. Sempre nel 2019 si stima che il numero di migranti al di sopra dei 60 anni rappresenti il 12 per cento del totale della popolazione migrante. In Europa, per esempio, il numero di persone nate all’estero di età uguale o maggiore ai 65 anni è quasi raddoppiato negli ultimi tre decenni, passando da 18,5 milioni nel 1990 a 32,2 milioni nel 2019. In Italia, nello stesso periodo, si è passati da 181.017 a 363.258.

Si stima inoltre che già nel 2018 in Europa circa 500mila casi di demenza e 700mila casi di decadimento cognitivo lieve fossero a carico di persone con una storia di migrazione. L’osservazione dell’aumento delle persone anziane con un background migratorio che affrontano un disturbo cognitivo è un dato che trova il suo razionale nel trend di due fenomeni, quello delle migrazioni e dell’invecchiamento della popolazione, di portata significativa in Italia e nei Paesi occidentali.

Verso politiche sanitarie adeguate

I dati e i trend che questi fenomeni descrivono evidenziano la necessità di quantificare e caratterizzare il problema dei disturbi cognitivi nei migranti e nelle minoranze etniche e di adottare politiche sanitarie adeguate, in linea con il Global Action Plan on Dementia promulgato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo sottolinea come l’approccio di sanità pubblica alla demenza debba incentrarsi su una visione sensibile alle diversità, abbracciando le necessità delle persone vulnerabili, inclusi i migranti. occidentali.

Un approccio cross-culturale alla diagnosi e al trattamento dei disturbi cognitivi è un obiettivo necessario per migliorare l’assistenza di tutti i pazienti, a prescindere dal loro luogo di nascita.
Un approccio culturalmente sensibile e competente è quello in grado di garantire una comunicazione, un’assistenza, e una presa in carico che tengano conto delle diversità esistenti tra le persone e che incontrino i loro bisogni sociali e culturali. Saper parlare al singolo paziente con sensibilità e utilizzando una lingua e degli strumenti accessibili può altresì migliorare ed elevare il rapporto medico-paziente e il processo di cura in sé.

Guardare il fenomeno della demenza tra i migranti attraverso una lente sensibile alle diversità significa implementare politiche sanitarie:

  • basate sulla conoscenza dei valori e delle differenze culturali e spirituali in relazione ai disturbi cognitivi degli anziani.
  • Che prendano in considerazione e superino le barriere linguistiche ed economiche che oggi limitano l’accesso ai servizi di supporto da parte di questa parte della popolazione e quindi degli strumenti utili ad abbatterle.
  • In grado di fornire a pazienti, caregiver e operatori sanitari strumenti pratici di conoscenza e azione.