Valutazione cognitiva cross-culturale
“La difficoltà di attuare una valutazione neuropsicologica cross-culturale va ben al di là della barriera linguistica e rappresenta il principale ostacolo all’inquadramento diagnostico dei disturbi cognitivi nel soggetto migrante e appartenente ad una minoranza etnica”.
Marco Canevelli, PI Immidem Study Group
I primi segni di decadimento cognitivo
In generale, lo stato di salute del migrante può essere influenzato da diversi fattori e determinanti. Alcuni riguardano le caratteristiche del Paese di origine e di destinazione (reddito, livello di istruzione, risorse sanitarie…), altri sono attributi individuali (età, sesso, stato socioeconomico…), altri infine riguardano la stessa esperienza migratoria (come durata, motivazione, supporto). La molteplicità e l’eterogeneità di questi fattori possono influenzare l’insorgenza e le manifestazioni di qualsiasi patologia nel migrante. La presenza di una barriera linguistica e di una diversità culturale può complicare l’approccio clinico e assistenziale al paziente con una storia di migrazione.
Nel contesto della demenza, l’obiettivo del clinico è di distinguere l’invecchiamento fisiologico dall’invecchiamento patologico e dalle manifestazioni delle malattie neurodegenerative. Al fine di riconoscere i primi segni di decadimento cognitivo è necessaria un’approfondita valutazione tramite test neuropsicologici mirati ad indagare il funzionamento di ogni dominio cognitivo (attenzione, memoria, orientamento, linguaggio ecc.) e scale somministrate al caregiver per verificare l’influenza dei disturbi cognitivi sull’autonomia del paziente nelle attività della vita quotidiana. La valutazione neuropsicologica del paziente migrante, tuttavia, può essere profondamente distorta da fattori etnici e culturali.
L’anamnesi del paziente
I primi indizi per l’inquadramento clinico del paziente con sospetto decadimento cognitivo provengono dall’osservazione diretta dell’ingresso in ambulatorio: il modo di presentarsi, di vestire, la cura di sé, l’eventuale presenza di disturbi del movimento. Un’accurata anamnesi, da raccogliere con il caregiver, rappresenta uno degli aspetti più importanti per guidare alla diagnosi delle patologie neurologiche. Spesso i pazienti migranti sono accompagnati da familiari o conoscenti che non necessariamente riescono a descrivere dettagliatamente i sintomi del loro assistito per la presenza di una barriera linguistica; pertanto è importante valutare la possibilità di avvalersi di interpreti o mediatori culturali.
È importante anche soffermarsi sui mutamenti che tali sintomi apportano alla vita quotidiana: se il paziente dimentica scadenze e appuntamenti, se non ritrova oggetti riposti in sedi inusuali, se dimentica di assumere le proprie medicine, se si perde quando esce da casa, se ha difficoltà a maneggiare soldi, se non riesce più a cucinare. È importante sottolineare che, in molte culture, questi disturbi potrebbero essere percepiti, da paziente e accompagnatore, come manifestazioni naturali dell’invecchiamento piuttosto che come sintomi di esordio di quadri patologici. Potrebbero essere quindi non riferiti, ridimensionati o sottovalutati al momento dell’incontro con il clinico. Analogamente, anche i livelli di autonomia o indipendenza funzionale del paziente sono fortemente influenzati dal contesto socio-culturale di appartenenza.
La raccolta di informazioni anamnestiche dovrebbe quindi sempre tenere conto del background culturale della persona e del suo nucleo familiare al fine di ottenere una valutazione oggettiva della situazione, oltre che per avviare la costruzione di un solido rapporto medico-paziente-caregiver.
Per saperne di più
La valutazione della funzione cognitiva
Tra le sfide della presa in carico del paziente migrante affetto da decadimento cognitivo vi è la selezione degli strumenti utili all’inquadramento diagnostico. Oltre alla raccolta dei dati anamnestici e al colloquio con il paziente e i familiari, la valutazione neuropsicologica prevede la somministrazione al paziente di test neuropsicologici e la valutazione con scale comportamentali e funzionali dedicate. La valutazione neuropsicologica permette di misurare le abilità cognitive (attenzione, memoria, linguaggio, percezione, funzioni esecutive) mediante la somministrazione di test di screening indicativi della performance cognitiva globale e di test neuropsicologici funzione-specifici che possono avere una complessità e una durata variabili. Tuttavia, la maggior parte delle scale utilizzate per la valutazione cognitiva sono state sviluppate in contesti occidentali (per lo più europei) e possono risultare inadeguate nel condurre una valutazione cross-culturale. Molte delle domande dei test che quotidianamente vengono somministrati ai pazienti sono potenzialmente influenzate non solo dalla barriera linguistica, ma anche da fattori culturali. Ad esempio, le domande sull’orientamento spaziale e temporale richiedono una certa familiarità con il calendario e gli indirizzi, nelle prove di linguaggio (denominazione, ripetizione, etc.) determinati vocaboli non hanno necessariamente la stessa frequenza d’uso nel Paese di provenienza rispetto al Paese ospite, alcune prove richiedono conoscenze proprie della cultura generale del Paese in cui viene effettuata la valutazione…
Numerosi studi hanno, inoltre, documentato come l’uso di strumenti di valutazione fortemente influenzati dalle differenze culturali può contribuire alla misdiagnosi (sia in termini di sovradiagnosi che di sottodiagnosi) di disturbi cognitivi. È quindi necessario sviluppare e rendere diffusamente disponibili test che risentano in modo limitato dell’impatto di fattori culturali in modo da garantire una valutazione più attendibile.
In generale, per migliorare il campo della neuropsicologia interculturale dovrebbe aumentare la capacità di fare rete e di collaborazione sia all'interno dell'Europa sia con i neuropsicologi dei paesi di origine dei pazienti appartenenti a gruppi etnici minoritari, per scambiare idee e metodi di valutazione, ma anche per validare i test e raccogliere dati in modo più mirato.